Carola Mazot
Alberto DITRACI
Antonio CARBE'
Chiara GATTI
Dino VILLANI
Enzo DE MARTINO
Franco BINELLO
Franco FOSSA
Franco LOI
Gabriella NIERO
Gianni DAZZIO
Gianni PRE
Giorgio PILLA
Giorgio SEVESO
Gioxe DE MICHELI
Giulio GASPAROTTI
Giuseppe POSSA
Giuseppe PROSIO
Liana BORTOLON
Mafalda CORTINA
Maria Clara BOSELLO
Mario BORGESE
Mario DE MICHELI
Natale ZACCURI
Orfango CAMPIGLI
Paolo RIZZI
Pier Luigi VERRUA
Roberta AVALONE
Roberto MAIOGLIO
Tiziana CANITERO
Vera MENEGUZZO
Veronica MOLINARI

Giorgio SEVESO

L’incanto dell’emozione
11-2018

Giardini dai colori leggeri di fiori e rami appena accennati, gentili musicanti rapite dall’ispirazione, ritratti di amici fermati al volo nell’attimo di un sorriso o nell’assorta contemplazione di una melanconia, atleti impetuosi e robusti... Ognuno dei temi della pittura di Carola è qui rappresentato suggestivamente, in una selezione attenta che ne pone in valore le qualità particolari e l’incanto segreto.
Sì, perché proprio d’incanto si tratta quando si considera l’opera di questa pittrice veneta trapiantata per tutta la vita nell’ambiente artistico milanese, al quale fino alla fine, anche se in modo sempre silenzioso e defilato, ha intensamente partecipato da protagonista.
Era arrivata a Milano dopo essere stata iniziata alla pittura dal nonno materno Vettore Zanetti Zilla, pittore veneto di buon talento, per divenire allieva di Donato Frisia poi di Lorenzo Pepe e, all’Accademia di Brera, nientemeno che di Manzù e Pompeo Borra, con il quale si diplomerà nel 1969.
“Prendi una tela grandissima e fa una composizione”, le aveva detto un giorno Mario De Micheli, che assieme a molti altri la stimava. L’occhio acuto e la grande sensibilità umana del critico milanese avevano avvertito in lei la verità di un talento limpido, reale, non provvisorio o nutrito solo di gusto, che poteva ormai fruttuosamente avventurarsi a uscire dalla sola dimensione del ritratto – le sue prime opere giovanili – per reggere slanci ed aperture più universali, per dare fiato poetico al senso della vita e alle sue sfaccettature.
E da allora sono stati molti e importanti gli apprezzamenti che lungo gli anni hanno accompagnato il suo lavoro, da Liana Bortolon a Dino Villani, da Franco Loi ad artisti significativi come Ernesto Treccani, Eugenio Tomiolo, Giuseppe Migneco, Alik Cavaliere o Bianca Orsi per ricordarne solo alcuni, con un consenso affettuoso, attento e qualificato, da cui mai è stato estraneo anche un vivo apprezzamento per il suo particolare temperamento umano, per la qualità lirica della sua acutezza appartata, per il rigore teso delle sue scelte espressive.
Carola Mazot ci ha difatti lasciato una pittura leggera come un fiato di poesia, eppure strutturata, rigorosa, nutrita d’osservazione e di penetrazione psicologica, di senso fervido dell’allusione emotiva. Una pittura in cui – come ha scritto lei stessa – si ricercano le armonie e le ragioni che tengono assieme la realtà alle radici stesse di quel senso del mistero che l’ha sempre attirata.
Una pittura, inoltre, di non consueta coerenza, segnata dalla qualità di una sorta di espressionismo calmo e felpato, ben definito e personale in ogni tratto, fatto di segni figurali tutti suoi, di sottili dilatazioni del sentimento, di emozione intensa nel comporre figure e immagini trattenute e come asciugate dall’interno, sommesse, evocative, sapide di un linguaggio fermo e sensibile che mai si è lasciato distrarre dalle seduzioni delle mode né dalle retoriche ingessate dell’accademismo. Un linguaggio, ancora, che della misura, della sobrietà d’effetti, della semplicità sorgiva, ha sempre fatto una regola per la propria intonazione generale e la ragione autentica del proprio fascino riservato.




Un ritorno della poesia
01-2018

“Prendi una tela grandissima e fa una composizione”, le aveva detto un giorno Mario De Micheli, il grande critico milanese.
Il suo occhio acuto e la sua grande sensibilità umana avevano avvertito in lei la verità profonda di un talento limpido, autentico, non provvisorio o nutrito soltanto di gusto, che poteva aspirare a uscire dalla sola dimensione del ritratto – le sue prime opere giovanili – per reggere slanci ed aperture più universali. E del resto sono molti e importanti gli apprezzamenti che lungo la vita hanno accompagnato il suo lavoro a Milano.
Da Liana Bortolon a Dino Villani, da Franco Loi ad artisti significativi come Ernesto Treccani, Eugenio Tomiolo, Giuseppe Migneco, Alik Cavaliere o Bianca Orsi, per ricordarne solo alcuni, la sua pittura è sempre stata seguita da un consenso affettuoso, attento e qualificato, da cui mai era estraneo anche un vivo apprezzamento per il suo particolare temperamento umano, per la qualità lirica della sua acutezza appartata, per il rigore assorto delle sue scelte espressive.
E difatti la vicenda creativa di Carola Mazot è stata percorsa in ogni momento sulla linea di una coerenza rigorosa, rara e pensosa, che ha dato vita negli anni a una sorta di espressionismo calmo e felpato: un linguaggio tutto suo, di sottile e molto personale dilatazione del sentimento, di emozione intensa nel comporre figure e immagini trattenute e come asciugate dall’interno, sommesse, evocative. Un linguaggio fermo e sensibile, che mai si è lasciato distrarre dalle seduzioni delle mode né dalle retoriche ingessate dell’accademismo. Un linguaggio, ancora, che della sobrietà d’effetti, della stringatezza, della semplicità sorgiva, ha fatto una delle sue regole.
Ma in pittura, soprattutto tra le sue mani, semplicità non significa certo ingenuità, pochezza o scarsità di dimensioni interiori. Costantin Brancusi ricordava in modo illuminante decenni fa che “per ogni epoca la semplicità in arte è, nella teoria ma soprattutto nella pratica, la sostanza di una complessità risolta”.
Per Carola, quella levità delle mescole cromatiche, quella chiarezza elementare delle velature, quell’essenziale espressione dei segni e della composizione nel disporre i vuoti e i pieni dell’immagine e del suo vocabolario espressivo sono, appunto, complessità risolta, sono – sì – semplicità, ma pure sonoricchezza d’intuizione, spinta psicologica, memoria e racconto, allusività larga ed emozionata. In maniera diretta e vitale, nel trascorrere degli anni, questo suo modo espressivo si è precisato sempre più nitidamente nei tratti di un senso di “mistero” sospeso (ancora De Micheli), cioè in quel sentimento dell’inconoscibilità e contraddittorietà della vita che ognuno di noi avverte in fondo a se stesso, che aleggia costantemente nelle sue immagini e ne distingue l’intonazione di fondo.
Più che di fasi tematiche o di periodi cronologici, è più giusto parlare per lei di un repertorio alternante, concluso a ogni occasione e continuamente ripreso: i diversi soggetti generali della pittura e del disegno figurativi (il ritratto, la figura, la natura) si alternano tra le sue mani seguendo l’ispirazione del momento e il divenire degli stati d’animo, innescati da un incontro, dal riverbero di un ricordo, dall’ispirazione di una veduta o da un’idea sognata, e si intrecciano lungo le sue giornate, intercalandosi tra loro simultaneamente, e talvolta anche dialetticamente, nell’impulso creativo...
Sono volti singoli e volti di coppie, espressioni e aspetti intensi di persone, calciatori e atleti in movimento con gesti di corsa e vitalità, giardini e alberi e radici e fiori intrecciati tra libertà,vitalità e fantasia... Tutto questo è ampiamente ed esaustivamente rappresentato dal cospicuo fondo di opere che comporta la donazione illustrata in queste pagine. E che dunque consiste in una galleria di immagini capace davvero di riassumere ogni aspetto di una creatività figurale così alta, ancora in fondo da esplorare compiutamente e in profondità.
Questo “ritorno a casa”, cui Carola pensava da anni e che solo dopo la sua scomparsa si è potuto realizzare, non è un gesto di circostanza, non è solo il gesto tenero di una figlia che ha voluto avverare un desiderio della madre. É anche la trasmissione e rivitalizzazione, la rimessa in circolo, la resa in comune di un raro spirito di creatività e di poesia che così, in modo concreto, viene restituito ai suoi luoghi originari, al genius loci da cui, in fondo, proviene e trae ispirazione.
Milano, gennaio 2018